La stanchezza cronica è stata considerata un disturbo psicosomatico ossia un disturbo fisico in cui i processi psicologici giocano un ruolo importante.
La sindrome della stanchezza cronica è caratterizzata da una stanchezza continua che dura per almeno sei mesi ed è accompagnata da un’incapacità di svolgere mansioni di lavoro, o di altro genere, che non può essere attribuita ad una condizione medica. In molti casi si verifica dopo una malattia virale, mentre in altri vi è un’associazione con il disagio psicologico.
La stanchezza cronica è spesso accompagnata da altri sintomi come dolori muscolari, persistenti disturbi del sonno e debolezza, ed è definita come la diminuzione o la mancanza della capacità di svolgere qualsiasi attività ritenuta di normale routine (per esempio chi ne soffre non è in grado di fare determinate attività di lavoro, sociali, a causa della stanchezza).
Le persone che si sentono stanche spesso riducono la loro attività fisica; tuttavia, questa mancanza di attività non elimina nè riduce la stanchezza, ma anzi la fa aumentare. L’inattività, infatti, comporta cambiamenti fisici e fisiologici e ha un effetto debilitante che può avere ripercussioni sia sul corpo che sulla mente. Gli effetti principali legati alla mancanza di attività sono: effetti sui muscoli (atrofia, riduzione della massa muscolare), cardiovascolari (aumento frequenza cardiaca) e psicologici (riduzione della voglia di fare attività, ansia, depressione e maggiore senso di fatica dopo un esercizio). Pertanto, la stanchezza può indurre una persona ad entrare in un circolo vizioso che porta all’inattività, alla riduzione del desiderio di svolgere qualsiasi attività, aumentando così la sensazione di stanchezza.
Queste persone tendono a rifiutare l’esistenza di un’origine emotiva o psicologica per i loro sintomi, credendo che siano causa di una possibile malattia e hanno paura che l’attività fisica li faccia stare peggio, quindi tendono ad inibirla. Tuttavia, in molti casi, vi sono ampie oscillazioni, alternando alti livelli di attività a periodi di totale inattività.
Molte persone affette da sindrome da stanchezza cronica si caratterizzano per essere molto perfezioniste e responsabili di fronte all’insorgenza della stanchezza, e per fissare obiettivi troppo alti sul posto di lavoro. Esse tendono ad avere uno stile di vita iperattivo prima della comparsa del disturbo, sono spesso esposte a situazioni di stress emotivo e sono inclini a questo stress somatizzandolo piuttosto che esprimendolo emotivamente. Il disturbo di solito si verifica in periodi di forte stress causato da difficoltà sul lavoro o nelle relazioni.
I modelli di pensiero di queste persone sono formati da idee tipo: per essere accettato dagli altri e da me stesso devo raggiungere grandi obiettivi, controllare le mie emozioni e non mostrare debolezza.
A loro volta, queste considerazioni portano ad una serie di comportamenti quali: fare del proprio meglio, non lamentarsi o ammettere la debolezza, negare le proprie esigenze.
Quando ci sono eccessive richieste ambientali (come ad esempio un prolungato stress da lavoro) o la capacità di rispondere a queste richieste è ridotta (ad esempio per una malattia o a causa di stress emotivo causato da tali richieste), queste persone non sono in grado di soddisfare le aspettative. Rendendosi conto che non funzionano come “dovrebbero” non si permettono di rallentare o di apportare le modifiche necessarie nella propria vita per ridurre lo stress, ma cercano di fare sforzi ancora maggiori, ignorando il loro disagio senza lamentarsi e cercando di tenere il passo, anche se al momento non ce la fanno. Ciò si traduce in sentimenti di frustrazione e disagio e sintomi di grande stanchezza. La conclusione che spesso queste persone traggono, è che sono malati oppure che devono fare le cose ancora meglio.
Cosa si può fare se si soffre di affaticamento cronico? Intanto è importante considerare che la stanchezza può essere influenzata da: eccesso di lavoro e responsabilità, stabilire obiettivi troppo alti e difficili da raggiungere, perfezionismo.
Pertanto, è utile chiederci se i nostri obiettivi sono realistici, accettare il fatto che siamo esseri umani come tutti gli altri, con i limiti e le imperfezioni, e cercare di non esagerare nel carico delle nostre responsabilità.
Imparare a delegare, a cercare l’aiuto dagli altri e ad avere fiducia nella loro efficacia, senza fingere di poter fare tutto.
Fissare un appuntamento con il medico, e una volta esclusa l’esistenza di una malattia che provoca questi stessi sintomi, considerare la possibilità che lo stile di vita, lo stress, il comportamento e le emozioni possono esercitare un’influenza sul nostro corpo e la nostra psiche. Non smettere di fare attività perché, come accennato in precedenza, la mancanza di attività rende meno inclini a fare le cose, e ciò porta ad entrare in un circolo vizioso. Si può provare a pianificare le attività, facendo un elenco delle priorità e scartando il resto, fissando obiettivi raggiungibili in breve tempo e con poco sforzo. Non passare dalla completa inattività al voler fare tutto in una volta, ma cerchiamo di mantenere un livello stabile ed equilibrato di attività.
Una valutazione psicologica fatta da uno psicologo può essere tanto importante quanto la visita medica per scoprire cosa c’è che non va e affrontare e gestire le situazioni stressanti, scoprendo quale può essere il trattamento giusto per noi.