Mobbing

Il termine mobbing, deriva dal verbo inglese to mob, che significa: accerchiare, attaccare, aggredire in massa. Il termine è stato coniato dagli etologi, studiosi del comportamento animale, per indicare l’attacco di un gruppo di animali verso uno di taglia maggiore.

Nell’ambito lavorativo, la parola mobbing assume il significato di pratica persecutoria o, più in generale, di violenza psicologica perpetrata dal datore di lavoro o da colleghi (mobber) nei confronti di un lavoratore (mobbizzato) per costringerlo alle dimissioni o comunque ad uscire dall’ambito lavorativo.

Per parlare di mobbing è necessaria la presenza di almeno due soggetti, il mobber (parte attiva) ed il mobbizzato (parte passiva), che entrano in contrasto tra di loro, deve esserci un’attività vessatoria continua e duratura con lo scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e di allontanarla definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro.

Si parla di mobbing verticale quando è messo in atto da parte dei datori di lavoro verso i dipendenti per indurli a licenziarsi da soli  e di mobbing orizzontale quando viene invece praticato dai colleghi di lavoro verso uno di loro.  

Heinz Leymann lo scienziato svedese che ha coniato questo termine, parla di un vero e proprio “terrore psicologico”, che consiste in una serie di ostilità (boicottaggio, isolamento, allusioni, derisioni, cattiverie) messe in atto sistematicamente, in maniera continuativa e in misura crescente, da una coalizione di individui in un ambiente di lavoro contro un singolo soggetto designato come vittima. Il quale, di conseguenza, viene sottoposto e costantemente mantenuto in una condizione di impossibilità a difendersi e quindi di impotenza.

Come è facile immaginare la persecuzione psicologica sul posto di lavoro comporta sempre in chi la subisce, pesanti conseguenze dal punto di vista psicologico. La vittima di mobbing  vive in uno stato di penosa sofferenza  che si ripercuote su tutti gli ambiti della sua vita. Calo dell’ autostima, ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi psicosomatici, sono alcune  delle più comuni conseguenze psicologiche del mobbing, a cui si associano difficoltà relazionali con amici e familiari.  

Non bisogna sperare che la situazione si risolva da sola, purtroppo con il tempo, la persecuzione psicologica sul posto di lavoro tende ad aggravarsi. È  importante non cedere allo scoraggiamento e alla depressione. L’ansia e il senso di inadeguatezza che si prova sono causati dal mobbing e non ne sono essi stessi la causa. La situazione non dipende da una incapacità personale, al contrario le vittime del mobbing sono spesso i lavoratori più dotati, coscienziosi e brillanti.

La prima cosa alla quale un mobbizzato pensa poi è quella di fuggire e di liberarsi dalla situazione stressante, dando le dimissioni. Abbandonare il posto di lavoro è comunque una sconfitta perché ci si ritira lasciando l’aggressore impunito, è un duro colpo per l’autostima e in più si corre il rischio di non riuscire a trovare una nuova occupazione in tempi brevi. È fondamentale denunciare gli atti di mobbing e può essere molto utile un supporto psicologico per condividere la propria esperienza in un clima di accoglienza e fiducia, e per rafforzare le proprie competenze e le proprie risorse messe a dura prova dal pesante e critico clima lavorativo. Questo al fine di comprendere anche che il mobbing non dipende dal carattere della vittima ma è una patologia dell’organizzazione aziendale.